L’Italia è una repubblica fondata sul lavoro, ora anche su quello smart. Ci è voluto oltre un anno, un iter parlamentare lungo e complesso, ma alla fine anche il nostro Paese ha varato una legge. E alla buon’ora verrebbe da dire. A che punto siamo.
Quello dello lavoro agile è un esercito che conta già 250.000 lavoratori e il 30% delle grandi aziende italiane. Secondo l’indagine condotta dall’Osservatorio del Politecnico di Milano, sono questi i numeri dello smart working nel nostro Paese. A questi dati bisogna aggiungere un 11% di aziende che, pur dichiarando di utilizzare il lavoro agile, non hanno messo in piedi un progetto strutturato su questo tema.
Smart working nelle piccole e medie imprese
Solo il 5% delle PMI italiane affermano di aver avviato programmi in merito. Questo non è certo un dato positivo, se consideriamo che il tessuto imprenditoriale italiano è costituito prevalentemente da aziende che rientrano in questa categoria. Eppure le cifre riguardo alla produttività, laddove è adottato lo smart working, sono più che soddisfacenti. Chissà se da oggi, grazie al varo di questa normativa, le cose cambieranno. Come spesso accade, l’Italia è stato per anni il fanalino di coda fra i Paesi dell’Europa, sia per mancanza di una legislazione organica su questa materia, sia per una serie di limiti culturali che impedivano lo sviluppo di questa “metodologia di esecuzione del rapporto di lavoro”.
Smart working: cos’è
Perché di questo si tratta, di un metodo differente di svolgere il proprio lavoro. Per quanto siano in molti a pensare lo smart working come una vera e propria tipologia di contratto, questo non è assolutamente vero. Per questo l’adozione del lavoro agile all’interno di un’azienda non può determinare revisioni del trattamento economico né del numero di ore totali che il dipendente deve svolgere, ma modifica solo il modo in cui il lavoratore fornisce la sua prestazione professionale.
Del resto lo smart working è un concetto di lavoro che si basa su un profondo rapporto di fiducia fra dipendente e dirigente. Quest’ultimo è chiamato a rivedere e a ripensare al modo in cui esercita la sua leadership, non più nello spazio fisico delimitato dalle mura di un ufficio, ma piuttosto attraverso il suo carisma e la sua competenza, che possono essere trasmesse al lavoratore anche a distanza, grazie alle moderne tecnologie di comunicazione.
Smart working o telelavoro?
Non si deve confondere lo smart working con il telelavoro. Il telelavoro si basa sull’esistenza di uno spazio fisico diverso dall’ufficio, ma identificato e stabile, in cui il lavoratore è chiamato a svolgere le sue mansione. Forse più che “chiamato” dovremmo usare il verbo “obbligato”. Già perché con il telelavoro, il dipendente non è libero di scegliere la sede più comoda in cui espletare i suoi compiti, ma deve farlo in quello che è il luogo concordato con l’azienda. Niente tavolino in riva al mare e nemmeno terrazza con vista sulle montagne, a meno che uno non abbia la fortuna di vivere già in posti del genere.
Al contrario, la legge sul lavoro agile prevede proprio questo: la possibilità di lavorare dovunque uno si trovi, con orari più flessibili, che si adeguano alle esigenze personali. Questo è anche un modo per responsabilizzare maggiormente il dipendente che, ferme restando le scadenze lavorative, si trova a poter gestire in modo autonomo il proprio impegno professionale. È un po’ come passare dalle superiori, in cui vige l’obbligo di frequenza, all’università, dove puoi laurearti con il massimo dei voti anche da non frequentante.
Quando il lavoro è davvero ‘smart’ e ‘green’
Per sfruttare a pieno le potenzialità dello smart working è necessario disporre di strumenti tecnologici, come computer e cellulari in grado non solo di connettersi a internet da remoto, ma anche di garantire un’assoluta sicurezza in merito alle informazioni e ai dati. Il progressivo abbandono dei metodi di comunicazione più rigidi sarà probabilmente accompagnato da un ulteriore riduzione dell’uso di carta e cancelleria. Un risvolto paperless che non può che giovare, sia in ottica ICT, sia in chiave green e non solo. Si stima che aumentando lo smart working si ridurrebbero le emissioni di CO2 di 214 milioni di tonnellate all’anno.
Il futuro dello smart working
Beh di certo un incremento dell’adozione dello smart working, sia nelle aziende, sia nella pubblica amministrazione alla quale è applicabile la nuova normativa. Ora che il nostro Paese si è dotato di una legge organica in materia di lavoro agile, la sua concreta applicazione dipenderà soprattutto da un cambio di passo e di mentalità all’interno delle diverse realtà imprenditoriali e della stessa PA, storicamente poco incline al cambiamento. Perché lo smart working prima ancora che nel diritto affonda le sue radici nella capacità del mondo del lavoro di essere flessibile, agile e dinamico, in una parola smart!