“Un game designer non crea tecnologia, ma un’esperienza”. Questa è senza dubbio una delle massime più significative inserite in “Rules of Play”, il libro scritto da Eric Zimmerman e Katie Salen ed edito da MIT Press, la casa editrice del Massachusetts Institute of Technology. Il libro è stato pubblicato nel 2004 ed è considerato la “bibbia” dei game designer di tutto il mondo. Basta in effetti la sola frase che abbiamo citato per capire in che considerazione i due autori tengano i videogame e tutto ciò che concerne il settore dei giochi gestiti da dispositivi elettronici e fruibili attraverso schermi. Una storia incredibile quella dei videogiochi, iniziata nel 1947 e che ogni anno viene celebrata nel corso del Videogame Day, il 12 settembre.
Parlare di videogiochi vuol dire aprire un universo gigantesco, un mondo che fa muovere miliardi di dollari e che dà lavoro a migliaia di persone fra sviluppatori, tecnici e grafici. Già di per sé, il termine videogame è fonte di equivoco, in quanto può riferirsi sia alla parte hardware (dispositivi, consolle, postazioni arcade), sia alla parte software (i giochi propriamente detti). Un comparto enorme dunque, che è ben lontano dall’essere solo roba da bambini e ragazzi. Fino a pochi anni fa, i videogame erano considerati oggetti di intrattenimento per un pubblico la cui età variava fra i 15 e i 29 anni. Oggi non è più così, in quanto allo stato attuale, la forbice di età di coloro cui si rivolge il mercato dei giochi elettronici è molto, ma molto più ampia.
Oltre alle evoluzioni sociologiche legate a questo ambito, per tanti è il migliore dei passatempi possibili, ve ne sono altre più materiali e concrete, che hanno portato i videogiochi a essere come li conosciamo oggi. E in effetti, da quel lontano 1947, anno in cui fu progettato il primo gioco elettronico destinato a essere giocato su un tubo catodico, l’evoluzione di questo comparto non si è mai arrestata. In principio furono Nimrod e OXO, ma la vera rivoluzione arrivò nel 1958, quando sul mercato comparve quello che nell’immaginario collettivo è realmente considerato il primo vero videogame della storia: Tennis for Two. Questo gioco elettronico nacque con l’obiettivo di intrattenere i visitatori del Brookheaven National Laboratory di New York, ma venne rimosso dopo un solo anno di servizio. Nonostante questa sua vita da meteora, la storia lo ha reso una delle pietre miliari di questo settore trasformandolo in qualcosa di assolutamente iconico.
Poi, più tardi, arrivò la prima console, cui fecero seguito i primi videogiochi di simulazione, le prime postazioni arcade (che soppiantarono i flipper nelle sale giochi e nei bar) e ancora più avanti vennero commercializzati alcuni videogiochi che sono entrati nell’immaginario collettivo, quali Battlezone e Pack Man. Per non parlare di Jumpman, che tutti conosciamo con il nome di Mario, divenuto probabilmente il personaggio più famoso della storia dei giochi elettronici. La sua fama è talmente leggendaria, che il comitato organizzativo dei Giochi Olimpici di Tokyo 2020 ha incentrato attorno alla sua figura il video di presentazione della XXXII Olimpiade, presentato durante la cerimonia di chiusura dei Giochi di Rio 2016. La nota più divertente è stata l’ingresso del primo ministro giapponese, Shinzo Abe, comparso in mezzo allo stadio Maracanã vestito da Mario Bros.
Certo il comparto dei videogame ha vissuto anche dei momenti bui, soprattutto a metà degli anni ottanta, ma tutto è stato superato con l’avvento delle console di nuova generazione prodotte da Nintendo e Sega. Il 1983 fu l’anno in cui, in Giappone, iniziò la commercializzazione di quello che sarebbe diventato il più famoso videogioco portatile di tutti i tempi: il Game Boy. Piccolo, dalle linee pulite, ma soprattutto trasportabile e quindi, batterie permettendo, utilizzabile in ogni dove. Dovremo aspettare gli anni novanta per assistere alla comparsa di qualcosa di altrettanto dirompente. Probabilmente solo la Play Station è riuscita a rappresentare un punto di rottura tanto forte nel mercato, quanto lo è stato il Game Boy. Con gli anni novanta e poi dopo il 2000, i videogiochi, intesi come parte software, divennero veri e propri brand declinati in film, cartoni animati e vere e proprie icone. Lara Croft, protagonista di Tomb Rider, la conturbante Alice Arbernathy, ispirata alla saga di Resident Evil, e il principe Dastan di Prince of Persia sono solo alcuni dei personaggi portati sul grande schermo da Hollywood e da alcune delle star più amate dal pubblico.
Come se tutto questo non bastasse, negli anni, sono cresciute a dismisura altre attività collegate in un modo o nell’altro ai giochi elettronici. Il Cosplay (la pratica di indossare un costume che rappresenti un personaggio e di agire come lui), i festival dedicati ai video game, i campionati mondiali di videogiochi o la figura del videogame tester sono solo alcune delle decine di attività connesse ai giochi elettronici. A distanza di quasi settant’anni i videogiochi sono ancora sulla cresta dell’onda, anche grazie a tutto l’indotto che ruota attorno alla produzione software e hardware. A oggi sembra che il futuro stia andando nella direzione delle game app, come Pokémon Go, e del crescente uso della realtà virtuale, al fine di rendere sempre più esperienziale l’uso di questa “tecnologia”. E proprio per questo continuo slancio verso l’emozione e l’esperienza, che possiamo affermare con una buona dose di sicurezza che l’anno prossimo saremo ancora qui a festeggiare il Videogame Day, e così anche negli anni a seguire.