Sessant’anni fa a Roma, sei Paesi pionieri firmavano il Trattato che costituiva la Comunità Economica Europea (CEE), un accordo che assieme ai trattati Euratom e CECA, ha rappresentato la base di oltre mezzo secolo di pace e prosperità per il continente europeo. Molto è cambiato da quel 25 marzo del 1957 e molte cose cambieranno ancora in futuro. Se allora era bastato ipotizzare la creazione di un’area doganale unica all’interno della quale far muovere merci, capitali, servizi e persone, oggi è necessario guardare più avanti, sia per garantire un sempre maggiore sviluppo economico a quella che è considerata la più vasta area a benessere diffuso del mondo, sia per favorire una maggiore inclusione per tutta la popolazione.
In quest’ottica, l’Unione Europea, erede delle comunità create negli anni cinquanta, ha deciso di puntare sul digitale, quale strumento per dare all’Europa un futuro che funzioni. Con questi termini si è espressa il capo della rappresentanza UE in Italia, Beatrice Covassi, per presentare il Digital Day di Roma. L’evento, inserito nell’ambito delle celebrazioni per l’anniversario della firma del trattato CEE, si terrà oggi nella capitale e sarà l’occasione per un incontro di alto livello per stilare una dichiarazione e prendere impegni concreti per lo sviluppo digitale dell’area UE.
L’incontro sarà diviso in quattro sessioni che verranno trasmesse live sui canali social, incentrate su alcuni temi fondamentali per la digitalizzazione:
- Mercato del lavoro
- Industria 4.0
- Calcolo scientifico ad alte prestazioni
- Mobilità cooperativa, connessa e automatizzata.
In particolare i primi due punti rappresentano i veri pilastri sui quali si gioca il futuro della trasformazione digitale, ma anche il rilancio dello stesso progetto comunitario. Secondo i dati dell’agosto 2016, in Europa vi sono quasi 21 milioni di disoccupati, molti dei quali privi delle competenze digitali necessarie per affrontare con successo la ricerca di un lavoro. L’Unione europea stima in oltre 70 milioni i cittadini non in possesso di adeguate digital skill, sia per una crescita professionale sia per affrontare quelli che sarà il futuro sviluppo tecnologico.
E questa mancanza di competenze si riverbera in senso negativo anche sul comparto industriale, che non è ancora in grado di sfruttare a pieno tutte le potenzialità offerte dalla cosiddetta industria 4.0. Ciò deriva anche dalla mancanza di veri e propri piani sia a livello europeo sia a livello nazionale, che permettano alle aziende piccole e grandi di dotarsi delle tecnologie per il loro sviluppo digitale.
Eppure qualcosa sta cambiando. Nel corso degli ultimi anni moltissime compagnie operanti nel settore dell’ICT hanno creato o implementato una serie di programmi volti a favorire il conseguimento delle competenze digitali. È il caso di Cisco, che quest’anno festeggia il ventennale delle sue Networking Academy o di Cloudera, che ha creato una university aziendale nell’ambito del data science. VEM sistemi porta avanti da diversi anni il programma VEM4Talent e collabora con l’Università di Modena e Reggio Emilia per un corso di perfezionamento in materia di Cybersecurity. Oracle Academy, invece, offre a scuole e università un portafoglio completo di software, programmi di studio e sessioni di training.
Anche per quanto concerne l’industria 4.0, molti governi nazionali si stanno attrezzando con dei piani che facilitino l’adozione di tecnologie per la digitalizzazione non solo delle divisioni amministrativi, ma soprattutto di quelle produttive. L’Italia si è dotata recentemente di un piano organico volto a permettere alle imprese italiane di cavalcare l’onda della quarta rivoluzione industriale. L’obiettivo è quello di garantire al made in italy di poter combattere ad armi sui mercati internazionali, anche e soprattutto in materia di competitività. Perché la tecnologia e digitalizzazione possono essere straordinarie alleate della nostra industria, un vuoto digitale rischia di trasformarsi in un autogol clamoroso per il nostro sistema produttivo.
Dunque stiamo vivendo un momento di grande cambiamento e l’Europa, da sempre molto attenta a recepire i venti di innovazione, ha deciso di non farsi trovare impreparata. Del resto il progetto europeo, più volte messo in discussione, ha sempre saputo rilanciarsi attraverso il ricorso all’enorme capitale umano a sua disposizione, vero motore dello sviluppo del continente. Ed è su questo capitale che l’Unione ha deciso di scommettere e investire, per garantire ai suoi cinquecento milioni di abitanti altri sessant’anni di prosperità e pace.