Le donne impiegate nel settore dell’Information and Communications Technology sono notoriamente meno di quanto sarebbe auspicabile. In Europa appresentano il 30% di tutti i lavoratori ICT.
La ridotta quota di donne impiegate nel settore ha stimolato l’attività della Commissione Europea che, tramite una serie di iniziative lanciate nel corso del 2013, ha inteso sostenere l’imprenditoria digitale per affrontare i problemi relativi al settore ICT europeo tra cui la bassapercentuale di donne impiegate nel settore:il loro aumento costituisce infatti una delle azioni dell’Agenda digitale (azione 60). Secondo la Commissione, i talenti femminili non possono essere sottovalutati dalle imprese che intendano seriamente puntare all’innovazione: per questo la Commissione ha pubblicato, il 30 gennaio 2013, il Codice europeo di buone pratiche per le donne nell’ICT, con lo scopo di incentivare la scelta delle donne verso una carriere in tale ambito e per far sì che quelle che già vi lavorano siano adeguatamente sostenute. Inoltre, la Direzione generale CONNECT ha intrapreso uno studio sulle donne attive nel settore ICT con l’obiettivo di elaborare delle raccomandazioni concrete per incentivare la presenza delle donne nel settore.
Sempre la Commissione, ha reso noto in ottobre lo studio Women in Technology sull’impiego delle donne nel settore ICT dal quale emergono dati veramente significativi: secondo lo studio, se ila percentuale di donne impiegate nel comparto digitale fosse la stessa di quella maschile, il PIL europeo farebbe registrare un incremento di circa 9 miliardi di euro l’anno. È stato poi dimostrato che le aziende con una quantità maggiore di donne ai posti di comando sono più redditizie del 35% e garantiscono ai propri azionisti circa il 34% in più di utili rispetto alle imprese omologhe.
Alla radice del problema: dagli studi alla famiglia
Il problema della scarsa presenza delle donne nel settore ICT nasce a monte, già dalla scelta del percorso universitario: nello studio citato, appena 29 laureate su 1000 conseguono un diploma universitario di primo livello nelle tecnologie dell’informazione e della comunicazione (contro 95 uomini su 1000). Soltanto quatto donne su mille poi lavorano effettivamente nel comparto digitale; inoltre, rispetto agli uomini, le donne hanno la tendenza ad abbandonare il settore a metà carriera e sono sottorappresentate nelle posizioni manageriali e di responsabilità, più che in altri settori; infine, solo il 19,2% degli addetti del settore ICT ha un capo donna, contro il 45,2% in altri settori. Altri dati rivelano ancora che il settore digitale impiega il 20% di professioniste trentenni con titolo di studio nelle ICT, percentuale che si abbassa poi al 9% per le donne oltre i 45 anni. È inoltre molto bassa la percentuale di imprenditrici nel settore digitale: in Europa le donne rappresentano il 31,3% dei lavoratori autonomi e sono soltanto il 19,2% le imprenditrici del comparto digitale.
I principali ostacoli all’inserimento delle donne in questo settore, secondo la Commissione, sono comuni e già risaputi: le tradizioni culturali, gli stereotipi che riguardano il ruolo delle donne, insieme a fattori socio-psicologici come la scarsa fiducia in sé stesse, poca capacità negoziale, avversione al rischio e scarsa predisposizione alla competizione; uniti a barriere esterne come un ambiente con una forte predominanza maschile; ed ancora le difficoltà nel conciliare vita privata e vita lavorativa e la mancanza di chiari modelli di riferimento nel settore.
A tal proposito, Neelie Kroes, vicepresidente della Commissione e Commissaria europea responsabile per l’Agenda digitale, ha dichiarato che “Ormai non ci sono dubbi: più donne in azienda vuol dire aziende più prospere. È davvero il momento che il settore delle tecnologie dell’informazione se ne renda conto e lasci spazio alle donne per permettere all’economia europea di beneficiare delle loro immense potenzialità”. Riguardo al cosa fare per modificare questa situazione, lo studio indica quattro linee di intervento:
1. rendere il settore più attraente agli occhi delle donne e dell’intera società, mettendone in risalto gli aspetti più appassionanti (ad esempio il fatto che quest’ambito sia particolarmente stimolante, poco monotono, utile ecc.);
2. dare più spazio alle donne, ad esempio promuovendo, in collaborazione con il mondo delle imprese, programmi educativi coordinati al livello europeo che siano capaci di avviare dei percorsi professionali chiari e lineari nel settore delle ICT;
3. incentivare l’imprenditoria femminile nel comparto digitale, ad esempio favorendo l’accesso al capitale di avviamento e di rischio;
4. migliorare le condizioni di lavoro nel settore, mettendo per esempio in evidenza le migliori prestazioni raggiunte dalle imprese che assumono più donne.
Il valore aggiunto delle donne: dall’ICT alla leadership
Oltre a realizzare questi obiettivi strategici occorre però intraprendere una vera e propria battaglia culturale contro gli stereotipi e il pensiero comune che tendono a considerare le donne poco idonee al settore dell’ ICT quando molte evidenze dimostrano il contrario e mostrano il valore aggiunto delle donne in aziende di ogni settore.
Come emerge dallo studio della Commissione, ma anche da altri studi realizzati ad hoc, una maggiore presenza nei cda delle aziende, e non solo quelle relative al settore ICT, si rivela molto redditizia per le imprese. È stato infatti dimostrato che un consiglio d’amministrazione con una percentuale alta di donne supera meglio la crisi finanziaria: a confermarlo sono le performance di 250 top companies selezionate da Eversheds International in Europa, USA e Asia nel periodo degli anni più bui della crisi e documentate dalla giornalista e saggista Flaminia Festuccia nel suo libro “L’altra metà del cdaSecondo il board report le aziende che hanno direttori donne diminuiscono il rischio di insolvenza o di fallimento e presentano punte di eccellenza in tutti i parametri di redditività. Ciò che inoltre sorprende è che tra le 10 caratteristiche che contraddistinguono un leader 7 sono femminili: gli studi condotti da Caliper e Aurora nel 2011 sostengono infatti che le donne sono più persuasive e più determinate, hanno un maggiore desiderio di vedere ultimati i compiti e sono maggiormente predisposte al rischio. Nelle relazioni sociali sono empatiche, si avvalgono di una maggiore capacità di comunicazione e lavorano meglio in team. Inoltre, le donne lavorano tenendo sempre d’occhio il raggiungimento dell’obiettivo e dell’organizzazione globale del lavoro e spesso si dedicando meno alla riuscita personale a favore di quella complessiva dell’azienda.
Per gentile concessione di Agnese D’Anna