Vi ricordate di EMERAC? EMERAC è stato uno dei primi computer all’interno di una commedia cinematografica. Il film è La segretaria quasi privata con Katharine Hepburn e Spencer Tracy, e racconta il tran tran quotidiano dell’ufficio quesiti di una grossa azienda, brutalmente interrotto dalla comparsa di un megacalcolatore di nome EMERAC. Per una serie di equivoci le dipendenti dell’ufficio, guidate da una Hepburn straordinaria, vedono il loro lavoro minacciato dall’inquietante presenza della macchina.
Questo accadeva nel 1957, mentre gli Stati Uniti erano nel pieno del boom industriale post seconda guerra mondiale. A distanza di sessant’anni, nonostante la digitalizzazione sia entrata in modo dirompente nelle nostre attività quotidiane, le paure e le ansie relative al rapporto fra innovazione e lavoro non sono cambiate poi molto. Già perché, nonostante siamo giunti alla quarta rivoluzione industriale, sono ancora in molti a pensare che il progresso, sotto le mentite spoglie di robot e sistemi di automazione, soppianterà l’uomo nel mercato del lavoro.
Eppure dovremmo aver imparato. Dopo tre rivoluzioni industriali dovremmo aver compreso che queste storicamente sono portatrici sane di un miglioramento sia sul piano produttivo, sia dal punto di vista delle condizioni lavorative. Tuttavia pare che qualcosa stia cambiando. Da quanto emerso nel corso del World Economic Forum di Davos, i datori di lavoro sembrano essere molto ottimisti riguardo alla possibilità di creare lavoro a partire dalla digitalizzazione e dall’innovazione tecnologica. In cima alla lista dei più positivi ci sarebbero proprio gli imprenditori italiani, che si aspettano una crescita dei posti di lavoro fra il 31 e il 40%.
Certo qualche dubbio è comprensibile. L’idea che un robot o un processo automatizzato possa sostituire un operaio in carne e ossa, un impiegato o anche un tecnico specializzato è ancora diffusa. Come evitare che ciò accada? Il successo della digital transformation e della digitalizzazione non passa soltanto attraverso l’industry 4.0 o le start up, ma necessita di una valorizzazione organica e ragionata delle risorse umane. Aziende più digitali hanno bisogno di lavoratori più preparati su argomenti quali l’IoT, la cybersecurity e la collaboration.
Questo bisogno di maggiori competenze digitali non coinvolge soltanto i lavoratori dipendenti, ma anche i liberi professionisti e tutti coloro che nel mondo del lavoro ancora non ci sono entrati, per motivi anagrafici o per mancanza di opportunità. Se da un lato le ipotesi più catastrofiste vedono la digital transformation come una specie di piaga da debellare, come un virus capace di spazzare via in pochi istanti centinaia di migliaia di posti lavoro, dall’altro c’è chi ritiene la digitalizzazione la panacea di tutti i mali, la speranza per un futuro migliore, senza se e senza ma.
Come sempre la verità sta nel mezzo. Senza dubbio i lavori più obsoleti e ripetitivi saranno messi a dura prova dall’inarrestabile progresso tecnologico, ma ciò non toglie che la digitalizzazione rappresenti un’enorme opportunità per tutti. Dati e buon senso alla mano, va detto che la trasformazione digitale non è un processo che si esaurisce nell’arco di mezza giornata, dalla sera alla mattina, senza preavviso. Il passaggio al digitale è un processo che necessita dei suoi tempi e di una certa organizzazione. Inoltre come dimostrano le cifre, in parecchi settori, ad esempio quello automobilistico, la digitalizzazione ha generato numerosi posti di lavoro e nuove opportunità per molti. Basti pensare a un colosso come Daimler, che per far fronte alla customizzazione selvaggia ha scelto di togliere i robot da alcuni settori della produzione.
Cosa fare dunque? Beh, l’imperativo categorico sembra essere quello di non farsi trovare impreparati, da un lato per non perdere il treno della digital transformation, dall’altro per non farsi travolgere da esso. Devono essere pronti i governi, per garantire un quadro di sviluppo nazionale per la digitalizzazione, e devono essere preparate le aziende, per evitare di perdere posizioni in termini di competitività. Ma dobbiamo essere preparati anche noi, come singoli cittadini e come lavoratori, perché la trasformazione digitale è già in atto e sta a noi decidere se cavalcare l’onda o rimanere in spiaggia a guardare gli altri farlo.